L'età delle riforme
L’azione dei singoli Luoghi pii elemosinieri fu sostanzialmente autonoma fino alla svolta dell’età teresiana e giuseppina che, all’interno di un progetto di globale riorganizzazione delle risorse e delle strutture amministrative dell’impero austriaco, segnò l’irruzione dello Stato nel settore dell’assistenza. In questo contesto si inseriscono i provvedimenti volti a ridimensionare le prerogative dei luoghi pii, come la soppressione delle esenzioni fiscali (1754), largamente usate e talvolta abusate dagli amministratori, e il dispaccio 25 giugno 1767, che affidava alla Giunta Economale (istituita nel 1765) il compito di coordinare i lavori di una generale ispezione alle istituzioni di beneficenza, i cui risultati furono utilizzati per la stesura del piano di riforma attuato da Giuseppe II con l’intento di estendere il controllo statale su tutto il sistema assistenziale lombardo, razionalizzare l’amministrazione del patrimonio degli istituti di beneficenza e rendere più efficace l’erogazione degli aiuti.
Con dispaccio in data 6 maggio 1784 l’imperatore disponeva la suddivisione degli enti assistenziali attivi nella Lombardia austriaca in quattro grandi categorie corrispondenti a diverse tipologie di disagio e marginalità: I infermi (ospedali e loro dipendenze); II orfani, esposti, educazione della gioventù (orfanotrofi, assegni d’istruzione); III vecchi, impotenti e incurabili (ospizi e case degli incurabili); IV bisognosi (elemosine e doti). Con lo stesso provvedimento Giuseppe II ordinava lo scioglimento di tutti i capitoli che fino a quel momento avevano retto i pii istituti, l’abrogazione dei rispettivi statuti e la concentrazione in ogni città delle istituzioni esistenti per ciascuna categoria in un solo ente. Fu infine determinata la creazione della Regia Giunta delle Pie Fondazioni che, direttamente subordinata al Governo, venne incaricata di svolgere funzioni di direzione e di controllo. A Milano, tuttavia, nell’ambito della IV categoria, fu decisa la sopravvivenza dei cinque luoghi pii maggiori (Quattro Marie, Misericordia, Divinità, Carità e Loreto), ai quali furono aggregate progressivamente trentacinque istituzioni minori. La gestione patrimoniale fu affidata a un amministratore regio per ogni luogo pio superstite, mentre l’erogazione assistenziale fu concentrata presso un’unica Direzione provinciale dipendente dalla Giunta delle Pie Fondazioni. Sempre nel segno di una maggiore razionalizzazione, nel 1785 fu stabilito il trasporto delle sedi dei luoghi pii superstiti nell’ex-monastero di Santa Barbara in contrada del Monte di Pietà e l’alienazione delle vecchie residenze.
Nel tentativo di arginare il fenomeno dell’accattonaggio, fu proibita la questua e furono aperte la Casa di Lavoro volontario in San Vincenzo in Prato per i mendicanti abili (15 dicembre 1784) e la Casa degli Incurabili ad Abbiategrasso per i poveri colpiti da malattie croniche o incurabili (4 maggio 1785); infine fu escluso dal “godimento della beneficenza chiunque non [fosse] appartenente al luogo per nascita o per decennale domicilio”.
Per quanto riguarda la distribuzione delle elemosine, si decise di limitare fortemente quelle in natura, privilegiando i sussidi in denaro, che venivano corrisposti tenendo conto della convenzione stipulata tra i cinque Luoghi pii elemosinieri sussistenti davanti al notaio Stefano Marinoni il 20 settembre 1785 e rimasta a lungo “un punto di riferimento fondamentale per la gestione dei Luoghi pii elemosinieri” a garanzia degli “oneri originari della fondiaria”. Nonostante la loro incisività ed estensione, le riforme giuseppine non recarono quindi “offesa al sacro principio del rispetto alla volontà dei defunti benefattori dei luoghi pii, giacché non si variò per esse la persona dei legatari […;] colle riforme semplificandosi solo l’amministrazione, s’accrebbe il reddito, e creandosi un unico centro per la distribuzione delle beneficenze, si ottenne un più equo e meglio inteso riparto a vantaggio dei bisognosi”.
La situazione tornò a mutare dopo la morte di Giuseppe II (1790) e l’ascesa al trono del fratello, Leopoldo II. Nel tentativo di arginare i malumori che sempre si accompagnavano a provvedimenti di accentramento amministrativo e decisionale, quest’ultimo restituì infatti qualche misurato spazio alle forze locali. Con dispaccio del 20 gennaio 1791 furono ricostituiti i capitoli dei cinque luoghi pii superstiti, formati da dodici deputati con carica gratuita e vitalizia. Nell’estate successiva, tuttavia, la loro capacità di autodeterminazione venne in parte limitata dall’istituzione del Capitolo Centrale dei cinque luoghi pii elemosinieri che, composto da due delegati per ogni ente, aveva il compito di trattare gli argomenti di interesse generale e comuni, l’appalto annuo del pane dei poveri e provvedere all’amministrazione della Pia casa degli Incurabili di Abbiategrasso e della Casa di Lavoro volontario in San Vincenzo a Milano.
In sostanza, dunque, tutto continuò secondo gli orientamenti che la riforma giuseppina aveva instaurato, conservando allo Stato ampi poteri di controllo: l’erogazione della beneficenza, in particolare, rimase di competenza del Direttorio, mentre ai cinque capitoli ripristinati venne assegnato il solo potere di proporre delle terne per la nomina – che rimaneva riservata al Governo – dei membri del Direttorio e di inviare presso quest’ultimo uno o due rappresentanti, con il compito di tutelare gli interessi dei luoghi pii ma senza diritto di voto deliberativo.
Gli anni della dominazione francese
Tale assetto fu profondamente modificato durante la Repubblica Cisalpina. Nel 1796 i cinque capitoli furono sciolti e sostituiti, per ognuno dei luoghi pii, da tre cittadini “amministratori”; dall’agosto dell’anno seguente il Capitolo Centrale fu composto da tutti e quindici gli amministratori. Con decreto del Comitato di Governo del 13 agosto 1801 venne approvato il Piano di concentrazione de’ cinque luoghi pii elemosinieri della Comune di Milano sotto una sola amministrazione ed una sola cassa, per effetto del quale il Capitolo Centrale dei Luoghi Pii Elemosinieri, composto da sette amministratori delegati con carica vitalizia e gratuita, ebbe in affido la gestione patrimoniale, mentre l’erogazione rimase attribuita al Direttorio elemosiniere. Da questa data cessarono dunque di esistere i diversi luoghi pii.
Nuove modifiche all’ordinamento del sistema assistenziale e della beneficenza furono apportate durante la Repubblica Italiana (1802-1805) e il Regno d’Italia (1805-1814).
La novità più importante fu introdotta tra il 1807 e il 1808 con l’istituzione delle Congregazioni di Carità in tutti i comuni del regno (decreti 5 settembre 1807, 21 dicembre 1807 e 25 novembre 1808). A differenza dell’omonima istituzione postunitaria, di cui si riferirà più innanzi, la Congregazione di Carità napoleonica attuava il massimo livello di controllo statale su tutti i rami della beneficenza, ai quali erano deputate le sue tre sezioni operative: I Ospedali; II Ospizi e Orfanotrofi; III Luoghi pii elemosinieri e Monti di Pietà. Il nuovo organismo, che segnava la fine di ogni autonomia amministrativa per i singoli istituti salvo la tenuta di una contabilità distinta, fu posto dapprima alle dipendenze del Ministero del Culto e poi di quello dell’Interno.
La Congregazione di Carità di Milano, che aveva sede presso l’Ospedale Maggiore, era presieduta dal Prefetto dell’Olona e ne facevano parte, di diritto, l’arcivescovo e il podestà, insieme a dieci “probi e distinti cittadini” scelti dal governo su proposta del ministero. Tre dei componenti di nomina elettiva erano assegnati alla III sezione, cui spettava l’amministrazione non solo dei Luoghi Pii Elemosinieri ma anche del Monte di Pietà e delle Pie case di Abbiategrasso e di San Vincenzo. Nel dicembre del 1808 fu approvato anche il Piano per la distribuzione della beneficenza elemosiniera che ribadì la separazione della funzione amministrativa da quella erogativa, con la fondazione della cosiddetta Direzione delegata, composta da tre membri esterni, nominati dalla Congregazione e approvati dal Governo, con l’incarico di vigilare sull’attività di erogazione.
Il dovere di assistenza nei confronti di coloro che ne avevano “veramente diritto” venne sancito dalla normativa napoleonica: non solo i “beni-fondi delle pie istituzioni” ma, secondo il decreto di istituzione delle Congregazioni di Carità del 21 dicembre 1807, anche “i Comuni rispettivi [erano] incaricati di supplire ai bisogni degli ospedali, orfanotrofi, conservatori d’esposti, e degli istituti elemosinieri”. Per sostenere tale onere venne disposto un generale concentramento di cause pie e legati che fino a quel momento erano rimasti di competenza di parroci, fabbricerie o di altri corpi e persone, con la sola eccezione dei legati di patronato familiare.
La Restaurazione
Le Congregazioni di Carità napoleoniche sopravvissero alla caduta del governo Beauharnais e al ritorno degli Austriaci e furono definitivamente sciolte solo nel 1825, sebbene la loro esistenza fosse stata dichiarata provvisoria fin dal 1819 su proposta della Commissione centrale di Beneficenza che, istituita nel 1816, aveva ottenuto il compito di vegliare sulla conservazione e la prosperità delle Case di Industria e di Ricovero nonché di “studiare una nuova sistemazione degli istituti pii”.
Per effetto del decreto 6 gennaio 1825 la gestione del patrimonio dei Luoghi Pii Elemosinieri venne affidata a un unico Amministratore, coadiuvato da un Aggiunto, entrambi stipendiati. L’erogazione della beneficenza spettava invece alla Direzione, composta da cinque “condirettori” nominati dal governo su terne proposte dalla Congregazione municipale. In quegli anni l’Amministrazione fu costretta ad abbandonare i locali presso l’Ospedale Maggiore e a ricercare una nuova sede, idonea a ospitare anche il suo imponente archivio. Dopo due dispendiosi traslochi, prima in via della Signora (1834-1851) poi in via Rugabella (1851-1853), la soluzione definitiva fu finalmente trovata nel Palazzo Archinto di via Olmetto, acquistato con atto del 25 novembre 1853 dalle sorelle Rosa e Giuditta Tirelli e che fino al 2016 ha ospitato gli uffici amministrativi dell’ente .
Nonostante una significativa ripresa delle donazioni e dei lasciti favorita da un trentennio di stabilità istituzionale, verso la metà del secolo l’ente dovette far fronte a una grave crisi finanziaria, in parte riconducibile alla distinzione tra le funzioni di amministrazione e quelle di erogazione. La situazione era peggiorata dall’ulteriore separazione tra l’Amministrazione elemosiniera da una parte e le direzioni delle Pie case d’Industria e della Pia casa degli Incurabili dall’altra, quest’ultima addirittura sottratta a ogni possibilità di controllo da parte dei Luoghi Pii Elemosinieri e posta sotto la sorveglianza della Delegazione Provinciale di Pavia, trovandosi nel territorio di sua competenza amministrativa.
(da Guida dell’Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri di Milano, pp. 31-35, testo di Marco Bascapè e Maria Cristina Brunati)