L’eredità disposta dal sacerdote Antonio Maria Proti – è comune anche la grafia Protti, sia nei manoscritti che a stampa – in favore dei Luoghi Pii Elemosinieri rappresenta uno dei più cospicui lasciti incamerati dall’ente, sia dal punto di vista del valore strettamente monetario, una sostanza al netto delle spese di 586.617 lire austriache, che per l’importanza del patrimonio degli stabili. Valgano come esempio i beni dell’ex convento S. Vittore all’Olmo a Milano, del valore di quasi 20.000 lire milanesi, acquisiti dal Demanio nel 1862 al prezzo di 115.000 lire, per la costruzione del nuovo carcere.
Il patrimonio della famiglia Proti era stato costituito principalmente dal padre Giuseppe, che aveva fatto fortuna con la sua professione di “ferrajo”, esercitata fin quasi al momento della morte. Ancora nel 1803, a 63 anni suonati, aveva preso in affitto una casa di cinque piani più botteghe per insediarvi la sua nuova officina. Giuseppe Proti si era specializzato nella produzione di macchine di precisione a telaio per la produzione di “gugie”, che poi affittava.
Antonio Maria Gaetano Domenico, unico figlio maschio, era nato dal suo matrimonio con Angela Borgia il 28 novembre 1771 e aveva intrapreso la carriera ecclesiastica nel 1788. La figlia minore, Caterina, si era sposata nel 1801 con il commerciante Francesco Torrani, ma il matrimonio si era infelicemente concluso con il ritorno di Caterina alla casa paterna nel 1813, per il disastroso fallimento dell’impresa commerciale del marito. Nonostante l’intervento del suocero, che tentò di tacitare i creditori, Francesco Torrani finì in carcere.
Antonio proseguì invece gli studi in seminario, terminandoli nel 1794, con la nomina al suddiaconato col titolo della cappella di San Sebastiano nella chiesa parrocchiale di Figino. Il giovane chierico era un tipo deciso, come appare da alcune note biografiche da lui stesso compilate attorno al 1820 – una sorta di moderno curriculum – per chissà quale occasione: nell’attesa della definitiva consacrazione, “figlio unico di patrimonio discreto”, si dedicò all’insegnamento gratuito del catechismo al popolo, ai poveri di S. Sebastiano e nella Pia casa d’Industria, dove rimase fino al 1818, quando venne assunto un catechista stipendiato.
Nominato sacerdote nel dicembre 1795, fu assegnato come confessore alla chiesa di S. Lorenzo, dove fu assistente alla scuola della Dottrina Cristiana dei maschi nell’oratorio della Colombetta, costituito nella cappella di S. Aquilino. Fu poi confessore degli infermi nell’Ospedale civile e dei carcerati al Palazzo di Giustizia. Tra 1800 al 1810 fu confessore ordinario delle monache di S. Maria Maddalena al cerchio, di S. Agostino, di S. Maria Immacolata presso S. Giuseppe, di S. Maria della Vittoria e di San Filippo Neri fino alla soppressione dei monasteri. Forte della sua esperienza come confessore, nel 1815 fu nominato penitenziere minore della Metropolitana, incarico che ricoprì con il suo abituale impeto, interessandosi anche di aspetti particolari della sua funzione, come testimoniato dal carteggio con la Penitenzieria romana, conservato tra le sue carte, in cui chiede lumi per l’assoluzione di carbonari e massoni.
Sempre secondo le sue note, non abbandonò comunque l’istruzione dei giovani insegnando catechismo al Reale Collegio della Guastalla; “potendo impiegare del proprio dalle 12 alle 15 mila lire milanesi annue” (quando aveva ormai ereditato dal padre), manteneva tre chierici agli studi e due infermi nello spedale Fatebenefratelli.
Aveva anche profondi interessi culturali: amava intrattenersi in conversazioni teologiche “con i suoi superiori” e nel 1801 aveva chiesto a papa Pio VII la dispensa per poter leggere libri proibiti per ragioni di studio. La sua biblioteca personale di oltre 400 volumi di argomento religioso, raccolte di giornali milanesi e 61 miscellanee filosofiche, rappresentava un unicum nel panorama dell’epoca; ne fu compilato un inventario, a cura di Carlo Degrandi, bibliotecario della Biblioteca Ambrosiana e, mantenuta integra, fu donata nel 1852 ai cappuccini di porta Vercellina.
Un tale impegno intellettuale e religioso non lo portava però a trascurare l’amministrazione domestica: insieme al padre Giuseppe gestì oculatamente il patrimonio di famiglia (i conti di casa e bottega sono dettagliatissimi e minuziosamente conservati), compreso l’adattamento e la ristrutturazione della casa in contrada della Palla, che divenne la sede di rappresentanza della famiglia. Fu al fianco della sorella nella triste vicenda del fallimento del marito, difendendo il patrimonio di famiglia dal tentativo dei fratelli Torrani di coinvolgere il suocero facoltoso nella rovina della loro impresa.
Alla morte del padre, avvenuta nel dicembre 1815 e seguita poco più di un anno dopo da quella della madre Angela, Caterina cedette al fratello la parte dei beni che le spettavano, in cambio di un vitalizio, probabilmente per tutelarsi da eventuali richieste del suo ancora legittimo, se pur separato e squattrinato, consorte. Antonio Proti vendette in breve tempo alcuni beni paterni, che considerava poco remunerativi o di difficile gestione; comperò nel frattempo il podere di Cornate e la villa di Balsamo, che divenne la sua amata residenza di campagna. La casa di Balsamo, dotata di un oratorio privato, fu spesso sede degli esercizi spirituali per prelati della Curia, accogliendo anche l’arcivescovo. Altro acquisto importante fu la sede dei soppressi padri cappuccini di S. Vittore: Proti acquistò la proprietà con l’intenzione di restituire la chiesa dell’ex convento al culto. Ottenne le debite autorizzazioni e diede inizio ai lavori nel dicembre 1829, ma non riuscì a vederne la conclusione. Morì infatti il 16 luglio 1830.
Con testamento del 24 giugno dello stesso anno, istituì eredi universali dei suoi beni i Luoghi Pii Elemosinieri, specificando che la sua sostanza venisse impiegata “per immediato sollievo dei prossimi indigenti”. Oltre a lasciti minori, sempre indirizzati ad opere di beneficenza, Proti destinò l’usufrutto dei beni di Cornate, Balsamo e Villapizzone alla sorella Caterina, così come l’uso della casa comunemente abitata in contrada della Palla.
La sostanza immobiliare lasciata dal Proti comprendeva due case in Milano tra la corsia della Palla e la contrada di Valpetrosa, due sedimi in Milano in borgo Santa Croce, una casa in porta Orientale, una in vicolo del Popolo, un podere in Villapizzone e un censo attivo sullo stesso Comune, fondi in Rezzonico sul lago di Como, un podere in Balsamo con terreno aratorio detto “la vigna Streppa”, beni in Cornate, i beni del soppresso convento di S. Vittore con annesse ortaglie.
La sorella Caterina sopravvisse al fratello solo pochi mesi; morì infatti il 17 novembre 1830, lasciando ai Luoghi Pii Elemosinieri il pieno godimento dell’eredità Proti.
(da Il tesoro dei poveri, pp. 180-181, testo di Daniela Bellettati)