L’ingegnere Giuseppe Giussani, nato a Milano nel 1789 e morto a Milano il 12 marzo 1872, era il secondo figlio dell’ingegnere Ferrante Giussani e di Maddalena Rosnati. Fratelli e sorelle (Giovanni, Luigia maritata con Giorgio Nicolò Marazzani, Antonia maritata con Pietro Antonio Marazzani) erano defunti al momento della denuncia di successione.
Il padre Ferrante, come risulta dal necrologio estratto dalla “Gazzetta privilegiata” di Milano del 5 settembre 1836 era nato l’8 maggio 1747 dal notaio Giovanni Paolo e da Teresa Fossati; entrato a far parte del Collegio degli agrimensori, ingegneri e architetti di Milano nel 1772, venne assunto da Beltrame Cristiani come “cancelliere” e in seguito “ingegnere ai confini”; divenuto ingegnere camerale, venne chiamato alla “direzione dei canali navigabili e camerali e di tutti gli affari d’acque del Ducato”. Lavorò alla sistemazione del Cavo Silero situato tra la Muzza e il Lambro e alla regolamentazione delle piene del lago Ceresio; incaricato nel 1805 della progettazione e direzione del canale navigabile da Milano a Pavia con il matematico Brunacci e l’ingegnere Giudici, l’anno seguente fu nominato “ingegnere in capo delle acque e strade per i lavori straordinari”; nel 1814 entrò alla Direzione generale delle pubbliche costruzioni e nel 1831 ricevette la medaglia d’oro al merito civile da Francesco I.
Il figlio Giuseppe si laureò ingegnere e architetto presso l’Università di Pavia il 6 giugno 1811 e fu ammesso alla professione dalla prefettura del dipartimento dell’Olona; nel 1819 il regio Collegio della Guastalla scrisse al padre Ferrante accettandone le dimissioni e la candidatura del figlio a sostituirlo nella carica di ingegnere (incarico terminato nel 1847). Sulle orme paterne, lavorò alla sistemazione di alcuni corsi d’acqua (Lambro, Po, Sesia, Serio, Vettabbia), ma, a differenza del padre, la sua carriera si svolse prevalentemente presso diversi enti (in particolare religiosi), tra i quali: le abbazie di S. Antonio e S. Croce, la Compagnia di Gesù, la Congregazione di Carità, la chiesa di S. Maria presso S. Celso, il Seminario arcivescovile, la Società del Giardino; ritiratosi dalla professione, versò le sue carte professionali al Genio civile. Celibe, risiedeva in via Circo 14 a Milano.
Nella denuncia della successione, sottoscritta dal presidente della Congregazione di Carità, è conservata copia del testamento 7 maggio 1869 e codicilli 10 febbraio 1870 e 5 febbraio 1872 pubblicati in data 13 marzo 1872 dal notaio Rinaldo Dell’Oro. L’eredità ammontava ad una cifra totale di lire 364.756 ed era composta per un terzo da capitali a mutuo (presso l’eredità del duca Antonio Litta, presso il conte Luigi Barbiano di Belgiojoso e presso Andrea Fontana), per metà da azioni commerciali e rendite sul debito pubblico, e solo per un nono da beni immobili (il podere Riva a Calò, nel mandamento di Carate del circondario di Monza, di 360 pertiche, con torchio e vasi vinari). Nell’inventario della sostanza abbandonata vi è inoltre un elenco di quadri e in particolari di libri, dal quale è possibile ricostruire la biblioteca di due ingegneri tra Sette e Ottocento.
Il benefattore aveva nominato erede universale la Congregazione di Carità con l’obbligo di pagare una serie di legati in favore di amici, domestici e parenti, tra i quali vengono privilegiati i figli del defunto fratello Giovanni (in particolare alla nipote Maddalena Giussani vennero lasciati i ritratti del benefattore e del padre Ferrante).
Nelle disposizioni testamentarie Giussani chiedeva funerali di prima classe e di terzo grado sia per la parte civile che religiosa e che il corteo funebre fosse composto da trenta persone dotate di una torcia di cera da 1,5 kg., nonché da 25 stelline (orfane accolte nell’orfanotrofio delle Stelline), un sacerdote e un chierico; inoltre per parenti o persone presenti al funerale la Congregazione di Carità in veste di erede avrebbe dovuto procurare “il comodo di carrozze semplici o a due cavalli per l’andata al cimitero e pel ritorno da esso”; nella chiesa dove fosse celebrato il funerale dovevano esserci 24 torce; infine, entro quindici giorni dal decesso, dovevano essere celebrate sessanta messe in suffragio.
Il testatore chiedeva di essere seppellito nel cimitero di Porta Magenta con i propri genitori e che sulla tomba fosse collocata una croce in marmo bianco con incise le parole: “Pregate eterna pace per l’anima dell’ingegnere Giuseppe Giussani” (nelle sue carte è conservato il disegno acquerellato della croce firmato da Angelo Moiraghi ingegnere capo dell’Ufficio tecnico).
(da Il tesoro dei poveri, pp. 218, testo di Maria Canella)