Nata a Milano nel 1807 da Carlo e da Bianca Uboldi, Maddalena Agudio vedova Gualla si spegne a Milano il 12 febbraio 1886, senza figli. Della sua vita, dei suoi affetti e dei suoi pensieri non si conosce nulla. Come molte donne del suo ceto dovette trascorrere una vita appartata, nel chiuso della famiglia e di selezionate cerchie amicali, divisa tra la casa milanese di via della Spiga 9 e i soggiorni nella casa “civile” annessa alla possessione “a coltivo da vanga, vitati, brughiera e boschi” di Rogoredo, in comune di Casate Nuovo. Gli unici squarci di luce sul buio della sua esistenza ci vengono da alcune clausole del testamento olografo, redatto il 20 gennaio 1882.
Nel nominare l’amato cugino Giovanni Battista Agudio erede dell’intera sua sostanza, Maddalena dettava infatti una serie di legati che tradiscono il suo desiderio di perpetuare memoria di sé presso le persone a cui si sentiva più vicina attraverso il dono di piccoli oggetti che in vita le erano stati particolarmente cari.
Scorrere l’elenco di questi legati-ricordo significa imbattersi in altrettanti spicchi della vita di Maddalena: gli affetti famigliari (quattro piccoli ritratti a olio dei genitori, suo e del fratello “con quadretti nero e vetro”), i segni di una vita agiata (un “bauletto di metallo con serratura”, una “scintoville di cristallo con serratura e con dentro l’occorrente di lavoro”, “una tazza di cristallo con suo coperto e tondo, e bottiglia tutta operata”, una “tazzina di porcellana bianca e oro con suo coperto e tondo con sopra il mio nome”, un “flacone di cristallo operato con il suo turaccio”, posate d’argento con le sue iniziali), le convenzioni e i riti sociali (un “portafoglio per visite di madreperla con figure con suo astuccio di pelle nera”, un “fichiù di pelliccia martora del Canadà cola sua scatola rispettiva di latta”).
Assente ogni riferimento a libri od oggetti di studio, il testamento lascia intravedere la passione per la musica e per uno strumento come il pianoforte, assurto a componente indispensabile dell’educazione di ogni brava fanciulla borghese. E proprio “il cembalo verticale” e le sue “musiche” venivano destinate (assieme a 15.000 lire) ad Amelia Steffanoni, figlia naturale del fratello Giuseppe Rocco Agudio, fanciulla verso la quale si percepisce in Maddalena una sorta di afflato materno che si manifesta nella scelta di lasciare ad essa molti degli oggetti personali, “biancheria da letto, da tavola, comodi di stanze”.
La sostanza di Maddalena ammontava nell’insieme a poco più di 140.000 lire, composta per oltre un terzo da cartelle della rendita pubblica e, per un altro terzo circa, dai beni della già ricordata possessione in Brianza. E proprio quest’ultima, fatto salvo l’usufrutto al cugino e, alla di lui morte, alla prediletta “nipote”, Maddalena destinava alla Congregazione di Carità. Entrata nel pieno possesso nel 1902 la Congregazione trovava conveniente porre in vendita l’immobile e la terra, ricavandone ben 106.000 lire.
(da Il tesoro dei poveri, p, 247, testo di Giorgio Bigatti)