Nata a Mantova il 3 aprile 1804 dai benestanti Giuseppe e Anna Rimini, Rosa Susani sposò nel 1823 il concittadino nativo veneziano Felice Carpi, ricco e vedovo negoziante – come lei israelita – da cui non ebbe figli. Nel 1830 i coniugi si spostarono a Milano, attratti come molti loro correligionari dalle potenzialità economiche della piazza ambrosiana e dalla moderazione della legislazione antiebraica del Lombardo–Veneto. Carpi divenne uno dei banchieri più importanti della città e morendo, nel 1854, lasciò a Rosa Susani una cospicua fortuna fondata su un ampio patrimonio fondiario collocato nel Mantovano tra Curtatone, Gonzaga e San Benedetto Po. Sorella del possidente e intellettuale Moisè Susani (autore della nota monografia Sulle attuali condizioni massime economiche dell’agricoltura nella provincia di Mantova e anch’egli trasferitosi a Milano nel 1836 assieme ai figli Elisa e Guido, futuro ingegnere e deputato), zia acquisita del pittore Alessandro Finzi, essa stessa dotata di raffinata cultura e proprietaria di una biblioteca di respiro internazionale, Rosa Susani fu una delle figure femminili più vitali della Milano dell’epoca. Proprietaria di una sontuosa villa con giardino e appezzamenti di terra nel Lecchese, a Olate, animatrice di una intensa vita sociale nelle sue case di via Borgonuovo e di via Boschetti, la donna si dedicò con particolare attenzione alla collezione di opere d’arte contemporanea e di decorazione: l’arredamento delle sue abitazioni fu creato da Benedetto Bouvier e, nel 1852, da Gaetano Speluzzi, che progettò pezzi in stile Napoleone III dalla proprietaria poi destinati alle raccolte museali del Municipio di Milano. Le predilezioni estetizzanti della possidente si riflettevano inoltre nella grande profusione di stoffe preziose che abbellivano le sue dimore, nei ricchi gioielli che amava indossare e in cui investì una parte consistente del proprio patrimonio, nella intensa frequentazione delle stagioni teatrali e musicali a Milano come a Lecco. Fu peraltro attenta amministratrice dei suoi possedimenti terrieri attraverso una intensa corrispondenza con agenti e fattori; non mancava del resto di visitare periodicamente i propri campi e fattorie per verificarne la corretta conduzione. Il mantenimento di un legame economico e culturale privilegiato da parte di Rosa Susani con le località di origine (altro dato comune all’intera generazione di prima emigrazione israelitica nel Milanese della Restaurazione) si riflette inoltre nell’attenzione e nella munificità con cui seguì le sorti dell’Istituto tecnico industriale professionale di Mantova, cui dopo l’Unità era stata accorpata la Scuola agraria Carpi, disposta da Felice nel suo testamento e sempre supportata da Rosa, che anche dopo la sua morte, avvenuta il 17 agosto 1875, provvide ad essa attraverso la predisposizione di una rendita.
L’impegno in attività di beneficenza fu un’altra costante nella vita di Rosa Susani: fin dal 1854 partecipe dell’attività generosa di Laura Solera Mantegazza, fu munifica contribuente al Consorzio israelitico di Milano, fino a dopo l’Unità sezione distaccata dell’analogo organismo mantovano, e della Pia casa di ricovero per gli israeliti di Mantova; incessante fu inoltre l’appoggio da lei fornito a privati bisognosi, attraverso l’intermediazione dell’amico Tullo Massarani. I Luoghi Pii Elemosinieri di Milano, amministrati dalla Congregazione di Carità, furono nominati eredi universali di un patrimonio stimato valere 766.000 lire: alla Congregazione Rosa Susani nel suo testamento impartiva rigorose disposizioni, concepite al fine di “giovare come meglio [gli era] possibile al [suo] paese, a cui port[ava] tanta affezione”. Ad emblema dell’ormai intrapreso cammino culturalmente e socialmente assimilatorio quantomeno delle frange benestanti del gruppo ebraico italiano in età postunitaria la possidente esplicitava nelle sue ultime volontà il desiderio di vedere la sua fortuna erogata, oltre che in sussidi straordinari a cittadini colpiti da epidemie o da altra calamità naturali, “in sussidi di educazione a fanciulli o fanciulle di oneste famiglie di civile condizione senza distinzione della religione o del culto che professano, siano israeliti, cattolici o protestanti”.
(da Il tesoro dei poveri, pp. 228-229, testo di Germano Maifreda)