Balzarino Pusterla, figlio di Francescolo e di una Cassola de Canavese, apparteneva ad una delle casate più eminenti della Milano tardo-medievale.
I Pusterla infatti, pur essendo di origine vavassorile (e non capitaneale), si distinsero, soprattutto nel Trecento, come una parentela spesso schierata in prima linea nella difesa dell’identità e delle tradizioni politiche dell’aristocrazia cittadina, di contro alla propensioni centralizzatrici ed “assolutistiche” fatte proprie dalla dinastia viscontea. Non per nulla, l’episodio più celebre ed emblematico di questa riottosità aristocratica fu costituito proprio dalla cosiddetta “congiura dei Pusterla” del 1340 ai danni di Luchino Visconti: congiura che si risolse peraltro con la condanna a morte dei principali responsabili e con ingenti sequestri di beni.
Balzarino però – che doveva essere nato verosimilmente negli anni Quaranta del XIV secolo – non apparteneva al ramo della casata più direttamente coinvolto nell’opposizione anti-viscontea. Per tutta la sua vita egli fu anzi decisamente propenso ad un atteggiamento alquanto collaborativo con la dinastia dominante, come già avevano fatto del resto suo padre Francescolo e suo nonno paterno Guglielmo, i quali ancora intorno al 1350 (e dunque dopo la famosa congiura) figuravano entrambi come dei leali capitani dei signori di Milano.
Le prime notizie di Balzarino ce lo mostrano negli anni Settanta del Trecento nelle file degli eserciti viscontei, ove pare che nel 1373 egli fosse anche rimasto tra i prigionieri caduti per qualche tempo nelle mani della Lega Guelfa. In seguito si sarebbe invece distinto come un fidato collaboratore di Bernabò Visconti (1354-1385), per conto del quale avrebbe tra l’altro compiuto nel 1378 anche un viaggio a Cipro, per trattare le nozze della figlia di lui Valentina con il re dell’isola Pietro de Lusignan. Sempre sotto Bernabò, Balzarino ebbe inoltre l’incarico di luogotenente signorile a Bergamo; dopodiché, acconciatosi con Giangaleazzo Visconti – che nel 1385 si era impadronito di tutto il dominio sbarazzandosi dello zio – lo si ritrovò podestà di Verona nel 1391-92, quindi di nuovo luogotenente a Bergamo nel 1393 (e nel 1398), e infine inviato in Toscana nel 1399 per trattare la dedizione di Siena al Visconti (che come noto, nel 1395, era nel frattempo divenuto duca di Milano).
Nello svolgimento di questi incarichi il Pusterla si rivelò ufficiale indubbiamente competente e capace, con un particolare talento – a quanto sembra – nel comporre situazioni di esasperata conflittualità. Parallelamente egli dovette inoltre stringere rapporti umani ed intellettuali con alcune delle più significative personalità culturali della Milano del tempo, come ad esempio il greco Pietro Filargo (che fu poi papa Alessandro V), che Balzarino ebbe modo di affiancare in diverse missioni (ivi compresa l’ambasceria senese cui ora si accennava).
Negli anni in cui Giangaleazzo fu da solo al potere (1385-1402) il Pusterla si impose insomma come un personaggio di un certo rilievo, come attestano fra l’altro anche i molti privilegi di cui egli venne compiaciuto: nel 1397 gli fu ad esempio accordata l’esenzione fiscale e di lì a breve ebbe anche l’investitura feudale di alcune terre nel Veronese. La sua indiscutibile autorità trova conferma anche nel fatto che ai funerali del duca, morto improvvisamente di peste nel settembre del 1402, Balzarino ebbe modo di figurare in una posizione di particolare riguardo.
Negli anni seguenti, come noto, il quadro politico del Ducato di Milano precipitò in una crisi gravissima, che rischiò di portare il dominio visconteo alla completa dissoluzione. Anche in quei momenti difficili tuttavia il Pusterla persistette nel rimanere vicino al regime, come sostenitore della reggente Caterina Visconti e del legittimo erede Giovanni Maria. Certo, egli ebbe in realtà dei contrasti anche forti con il potente Francesco Barbavara e giocò un ruolo non marginale nelle vicende che portarono al suo allontanamento dal potere nel giugno del 1403, ma nel periodo immediatamente successivo egli conobbe un ulteriore consolidamento della propria posizione. Già nell’estate del 1403 lo troviamo infatti tra i membri del nuovo Consiglio Ducale, e nell’agosto dello stesso anno i duchi gli fecero dono del cosiddetto “Albergo della Balla”, cioè il grosso edificio di Porta Ticinese che già era stato di proprietà della famiglia Pusterla, e che poi era stato confiscato dopo i fatti della congiura del 1340. Tre anni dopo, nel febbraio del 1406, egli fu altresì compiaciuto con il feudo di Selvanesco. Insomma, come si vede Balzarino era, ed era rimasto, un uomo legato al potere visconteo, e non per nulla anche le sue due mogli, Orsina e Beatrice, furono entrambe delle Visconti: Orsina (morta nel 1404) era figlia di Matteo II Visconti (che era stato co-signore di Milano tra il 1354 ed il 1355), mentre Beatrice, che sopravvisse al marito, era figlia di un Vercellino che a sua volta discendeva dal ramo di Uberto Visconti, fratello di Matteo I.
Ma oltre alla sua carriera politica ed ai suoi importanti rapporti sociali, Balzarino Pusterla fu anche un personaggio attraversato da una notevole sensibilità religiosa, e che non fu certo indifferente rispetto a quel clima di rinnovamento e di fervore che agitava larga parte della società lombarda nell’età dello Scisma. Sappiamo ad esempio che egli compì un pellegrinaggio a Gerusalemme, e che nel 1394 fondò poi una cappella di giuspatronato nella chiesa milanese di S. Sebastiano. La sua iniziativa più rilevante risale tuttavia al 1399, allorquando fondò – dotandola con i propri beni – la celebre abbazia di S. Maria di Monte Oliveto di Baggio, da lui affidata per l’appunto ai monaci Olivetani (coi quali era forse entrato in contatto durante il suo recente soggiorno senese).
Si deve dunque a Balzarino la comparsa in area lombarda della prima presenza affiliata alla congregazione osservante di Monte Oliveto, che in quel momento mostrava di saper interpretare nel modo più autentico e rigoroso la tradizione monastica benedettina. Con questa “sua” abbazia, Balzarino Pusterla rimase, anche in seguito, in stretto rapporto, tanto da lasciare l’indicazione di voler essere sepolto proprio in quel monastero.
Nel febbraio del 1407 Balzarino Pusterla – che naturalmente era anche un ricco proprietario terriero (con beni che si concentravano in particolare in Porta Ticinese, e così pure nella zona di Baggio e nelle pievi di Locate, di San Giuliano, di San Donato, di Gorgonzola e di Arcisate, nonché a Pavia e nel Lodigiano) – aveva infatti dettato il testamento. Furono istituiti diversi legati a vantaggio di vari esponenti di casa Pusterla (in particolare ai discendenti di coloro che erano stati implicati nella congiura fu lasciato l’Albergo della Balla, che essi avevano perduto circa 70 anni prima); mentre all’unica figlia Caterina (nata dal primo matrimonio con Orsina Visconti, da poco sposatasi con Alberto Sacco) furono lasciati dei beni nei dintorni di Locate, di San Donato e di San Giuliano, ai quali (in un codicillo del maggio successivo) ne vennero aggiunti anche altri in pieve di Arcisate. Il Consorzio della Misericordia, e l’abbazia di Baggio furono designati quali destinatari di legati altrettanto cospicui, mentre legati minori andarono a vantaggio di singoli destinatari o di particolari enti religiosi in Milano (come i conventi di S. Francesco e di S. Eustorgio) ed in Terra Santa (il convento dei francescani del Monte di Sion di Gerusalemme, la chiesa del S. Sepolcro, e la chiesa di S. Maria di Betlemme).
Come erede universale fu invece istituita la Fabbrica del Duomo.
Pochi mesi dopo aver testato Balzarino Pusterla morì (pare entro l’ottobre del 1407). Il suo corpo venne riposto in un sontuoso monumento funebre (poi distrutto a fine Settecento) nell’abbazia di S. Maria di Baggio. La sua seconda moglie Beatrice si sarebbe invece risposata con Pietro Gambara e in seguito con Bernabò Visconti. La figlia Caterina (che rimasta vedova del suo primo marito si era poi risposata con Cristoforo da Iseo e quindi, entro il 1422 con Ambrogio di Francesco Pusterla) testò poi a favore del Consorzio della Misericordia, che entrò in questo modo in possesso dei beni che il padre Balzarino le aveva lasciato.
(da Il tesoro dei poveri, p. 84-85, testo di Francesco Somaini)