Giuseppe Croce apparteneva al ramo di Magnago della famiglia Croce (o della Croce), identificabile a partire dalla metà del XIV secolo. A metà Cinquecento i tre figli di Cristoforo Croce (abate dei notai nel 1497), cioè Barnabò, Luigi e Giovanni Angelo – che avevano provveduto a istituire fidecommessi reciproci – diedero vita a tre linee diverse, ma la divisione durò poche generazioni: le linee di Luigi e di Giovanni Angelo rimasero senza discendenza maschile, per cui i beni ritornarono nella linea di Barnabò, grazie soprattutto all’azione caparbia del nipote Odoardo dopo una lunga controversia giudiziaria con Gerolama Croce, vedova di Francesco Sansoni.
Il figlio maggiore di Odoardo, Giuseppe, feudatario di Vanzaghello, Tinella e Tornavento, era un giureconsulto (gli altri figli maschi intrapresero la carriera militare: di essi solo Giacomo, feudatario di Magnago dal 1652, ebbe una discendenza maschile). Giureconsulto fu anche il figlio Odoardo, che nel 1695 cambiò con Giuseppe Assandri il feudo di Tornavento con quello di Malvaglio: dalla moglie Cornelia Brivio ebbe un solo figlio, Giuseppe, nato il 30 marzo 1702.
Alla morte del padre Odoardo, avvenuta nel 1708, Giuseppe Croce fu affidato alla tutela dello zio, Marco Arguis. Nel 1722 aderì alla Società Palatina, costituita da Filippo Argelati, con l’appoggio di numerosi nobili milanesi, per la stampa delle opere di Ludovico Antonio Muratori. Già feudatario di Vanzaghello, Tinella e Malvaglio, nel 1728, alla morte del capitano Odoardo Croce (cugino del padre) divenne anche feudatario di Magnago.
Col testamento del 22 novembre 1760 e il successivo codicillo del 31 dicembre, il conte Giuseppe Croce (che volle essere sepolto nella cappella di Sant’Antonio da Padova in San Francesco, dove c’era il sepolcro di famiglia), oltre ad una serie di legati minori, stabiliva che la moglie, Isabella Delfinoni, fosse usufruttuaria della sua casa in Magnago e ricevesse ogni anno 4000 lire. Al nipote Gaetano Delfinoni assegnava poi 16.000 lire (che sarebbero state versate alla zia nel caso – che in effetti si verificò – che egli le fosse premorto). I frutti di tutta la sua sostanza dovevano servire per pagare un medico e un chirurgo che curassero gratuitamente i poveri di Magnago, ai quali sarebbero stati forniti anche i medicinali: quanto fosse eventualmente avanzato doveva essere ugualmente utilizzato a favore dei poveri, anche di altre parti dello stato.
Dopo la morte di Giuseppe Croce, sopravvenuta il 6 gennaio 1762, la moglie cercò di mantenere il controllo dei beni del marito, così che si aprì una lunga vertenza giudiziaria, non ancora conclusasi alla morte della donna nel febbraio 1791: le sue ultime disposizioni innescarono ulteriori controversie, avendo ella deciso di devolvere i suoi beni per l’istituzione di una Causa pia a favore di orfani di militari.
Solo il 3 gennaio 1794 si giunse ad un accordo e fu finalmente possibile determinare le rispettive spettanze delle due cause pie.
I beni della Causa pia Croce, a tale data, consistevano in 4.882 pertiche in Magnago (con una casa da nobile), 1.157 pertiche in Tinella (territorio di Tornavento) e altre 405 pertiche nei territori di Castano Primo, Novate, Vanzaghello e Buscate, per un totale di 6.444 pertiche.
Il 27 febbraio 1794 il governo austriaco decideva di affidare l’amministrazione della Causa pia Croce al Luogo pio di Loreto.
(testo di Lucia Aiello)