Scarse sono le notizie sulla figura di Pietro Ottavio Ferreri, marchese di Varallo Pombia e di Pombia nel contado di Novara, e feudatario di Vernate. Solo il suo testamento conservato nelle carte dell’ente consente di gettare un po’ di luce sulla sua figura e in particolare sulle cariche pubbliche che egli ricoprì nell’ambito dell’amministrazione della città di Milano. Da tale documentazione si deduce chiaramente che i Ferreri appartenevano a quel genere di nobiltà provinciali, alla cosiddetta “gente nuova” che, al pari di tante altre nobili famiglie in Lombardia, era riuscita ad emergere dall’ambiente locale d’origine e a ritagliarsi faticosamente un ruolo e un’identità all’interno della società patrizia e dell’amministrazione civica milanesi, dove l’”essere patriz”’ rappresentava non solo lo status, ma un modo d’essere e il tentativo di acquisire la tradizione allo scopo di legittimare la propria ambizione sociale. A fine Seicento, infatti, la famiglia entrò a far parte del Consiglio dei Sessanta decurioni della città di Milano tramite Pietro Ferreri, il quale il 18 marzo del 1691 assurse alla carica di decurione, per rinuncia del questore Ottavio Caccia, e che poi detenne per circa un decennio, quando il 19 dicembre del 1701 egli si dichiarò dimissionario in favore del figlio Gerolamo, padre del nostro Pietro Ottavio. Gerolamo agì all’interno del Consiglio per oltre 40 anni, fino al 24 gennaio 1744, quando rinunciò in favore del figlio Pietro Ottavio. Fu proprio Gerolamo a far compiere il salto di qualità alla famiglia in ambito sociale attraverso il classico sistema attraverso cui molte delle famiglie patrizie di nuova nomina cercavano di accelerare la loro scalata sociale, vale a dire il matrimonio. In effetti nel settembre del 1702, quando negli atti figurava ancora semplicemente come «signore di Varallo Pombia», egli concluse un’alleanza di prestigio con Marina Sormani dei conti di Missaglia, figlia primogenita di Francesco, uno dei Sessanta Decurioni e membro del Consiglio Segreto, nonché erede di una delle casate di maggior prestigio della capitale ambrosiana. Nel corso dei quarant’anni in cui operò all’interno dell’amministrazione civica milanese, Gerolamo occupò ruoli di primo piano: prima in qualità di componente dei XII di Provvisione (nel 1704, nel 1707, nel 1710 e nel 1735); poi nelle vesti di giudice delle strade (1724), di conservatore del patrimonio (1736) e di mastro di Campo della milizia urbana nel 1741, ottenendo il titolo di marchese di Varallo Pombia nel 1711.
Dal testamento del figlio Pietro Ottavio, sappiamo con certezza che dal suo matrimonio con Antonia Bianchi di Velate nacquero, oltre al suddetto, almeno altri due figli: Eufrosina, andata in sposa al marchese Antonio Giuseppe Malaspina e Federico, sposo invece di Francesca Vercellini. Quasi certamente Pietro Ottavio era il figlio maschio primogenito, in quanto fu lui a ereditare il titolo e a sostituire il padre nel Consiglio dei Decurioni, occupando anche, per un tempo imprecisato, la carica di giudice delle strade. Tuttavia, con ogni probabilità, egli non concluse alcuna alleanza matrimoniale, perché all’interno del suo testamento non vengono mai nominati né moglie e neppure eventuali figli. In effetti, i legittimi eredi furono il fratello e la sorella, oltre ad una serie di luoghi pii, tra i quali si ricordano le Quattro Marie, di cui egli era anche deputato, e la Divinità. Il nome del casato fu dunque proseguito dal fratello Federico, nuovo marchese di Varallo Pombia e signore di Vernate, il quale però non risultò mai eletto all’interno del Consiglio Generale cittadino: tuttavia egli faceva parte del Collegio dei Giureconsulti già dal 1751, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel settembre del 1776. A quella data si perdono le tracce della famiglia, non si sa se per estinzione definitiva del casato nella linea maschile, oppure per un suo eventuale trasferimento in luoghi diversi da quelli lombardi.
(da Il tesoro dei poveri, p. 76, testo di Elena Riva)