Gioachimo Piccaluga nacque a Milano, nella parrocchia materna di S. Lorenzo, il 5 luglio 1752 da Giovanni e Francesca Barisoni. È probabile che i genitori fossero originari della Repubblica di Genova e più precisamente dell’alta Valle Polcevera: i Barisone, infatti (Barisoni in Lombardia), segnalati nel paese di Isoverde, risultano imparentati con i Piccaluga e i Grondona di Langasco, Campomorone e Pontedecimo.
Nulla si conosce, purtroppo, dell’infanzia e della giovinezza di Gioachimo Piccaluga, poiché gli scarsi documenti che ne attestano l’attività commerciale risalgono al periodo dell’occupazione austro-russa (1799-1800), quando, in società con Giuseppe Grondona (ditta Piccaluga & Grondona) e con l’aiuto di Vincenzo Barisoni (evidentemente un parente della madre) fu appaltatore di forniture per l’esercito dell’Armata imperiale.
La fortuna, probabilmente, arrise alla famiglia nel periodo francese, quando numerosi piccoli commercianti si arricchirono grazie alle commesse militari: se il fratello Cipriano (1745-1814), infatti, esercitava nel 1772 come “mercante di vettovaglie”, l’altro fratello Luigi, inizialmente “spedizioniere di mercanzie” “parcamente stipendiato” dalla ditta Agazzini e Albertazzi di Piacenza, ebbe l’incarico, nel 1796, di rifornire “le armate francesi che da Borgo Vercelli pervengono a questa città per la rotta di Boffalora” e grazie a questo appalto divenne ben presto ispettore generale dei viveri e dei foraggi.
Registrato come “possidente celibe” nei registri anagrafici del Comune di Milano, Gioachimo Piccaluga risultava proprietario, nei primi decenni dell’Ottocento, dell’abitazione nell’antica contrada di Viarenna n. 3568 (poi n. 24) e di altre due case in Milano, una delle quali in via S. Simone, dove esisteva un teatro, poi divenuto chiesa protestante. Possedeva inoltre vari immobili a Figino, Trenno, Alzate Brianza e San Romano (oggi Quinto Romano, dove si estende l’area del parco “Boscoincittà”).
Di questo ricco commerciante sappiamo solo che morì a Milano, nella parrocchia di S. Eustorgio, all’età di 85 anni, il 28 dicembre 1837, dopo aver nominato suo erede universale, con testamento del 1° agosto 1837, il nipote Gaetano Piccaluga (1784-1851), figlio del fratello Cipriano e di sua moglie Teresa Cima. Lasciò inoltre 3.440 lire austriache ai poveri della parrocchia di S. Eustorgio (somma corrispondente al valore di tre azioni della Società del Giardino), 3.000 lire all’Ospedale Maggiore di Milano e 30.000 lire milanesi alla Pia Casa d’Industria di S. Vincenzo. La direzione della Pia Casa, tuttavia, ripudiò tale legato per evitare una disparità di trattamento tra i ricoverati di S. Vincenzo e quelli di S. Marco, cosicché l’erede risolse di fare egli stesso una donazione alle Pie Case e di utilizzare tale somma per distribuire annualmente 4 doti di 100 lire ciascuna ad altrettante nubende povere, riservandosi il diritto della loro nomina e trasmettendolo ai propri discendenti; una volta estinti questi ultimi, tale diritto sarebbe passato al parroco per tempo della parrocchia di S. Lorenzo in Milano. Un altro legato annuale di 70 lire milanesi fu destinato dal testatore alle nubili di Trenno.
Nonostante l’eredità, le condizioni economiche della famiglia Piccaluga peggiorarono negli anni successivi alla morte di Gioachimo: il nipote Gaetano, infatti, ammalatosi progressivamente, fu “interdetto per imbecillità” negli ultimi anni della sua vita, costringendo la moglie Teresa Bianchi a chiedere più volte un sussidio alimentare sulla donazione fatta dal marito alle Pie Case d’Industria, non avendo più i mezzi per mantenere i 5 figli. Sui caseggiati ereditati dallo zio, inoltre, compresi tra i numeri civici 3565 e 3569 della contrada di Viarenna, gravava un’ipoteca a garanzia perpetua della donazione stessa.
(da Il tesoro dei poveri, pp. 344-345, testo di Paola Zocchi)