I rapidi cambiamenti in atto nella società del boom economico – un nuovo stile di vita, nuovi modelli sociali, l’aumento delle aspettative di vita grazie al progresso scientifico – avevano avuto evidenti conseguenze anche nella composizione degli ospiti degli istituti ECA, come ben era stato rilevato dagli stessi amministratori. Angelo Pagani, direttore dell’Istituto Inabili a Lavoro, aveva compiuto rilevazioni socio-statistiche sull’utenza di Bande Nere già nel 1956, realizzando una “Indagine sul passato lavorativo e cause di ricovero degli ospiti anziani”. L’analisi della situazione specifica dell’Istituto diretto da Pagani, venne dal sociologo contestualizzata nel più ampio quadro della condizione dell’anziano nella società contemporanea:
Il problema che dobbiamo affrontare è quello del mutamento in atto delle condizioni della posizione dell’anziano in generale, mutamento intervenuto nella società industriale contemporanea ed in corso di verificazione anche in certe zone d’Italia, perché in rapida fase di industrializzazione. […] Da noi in pochi anni, diciamo in 10, la struttura organizzativa, la stessa finalistica dell’Istituto cambia completamente, e passa da un istituto di ricovero se non coatto ma comunque un istituto segregato, a una casa di riposo alla quale si accede per una scelta libera e nella quale certe fondamentali esigenze della libertà sono completamente salvaguardate, in più si tenta, si stimola, il sorgere di forme di autonomia. […] Muta completamente […] il modo di guardare a questa realtà, quello che abbiamo chiamato l’idea generale o l’ideologia assistenziale, cioè si sposta la ricerca, se è necessario, di una colpevolezza dell’individuo alla società. […] Il momento del ricovero e la soluzione del ricovero [in istituto] non corrisponde più a situazioni eccezionali, non corrisponde più a particolari eventi che sono limitati quantitativamente e possono essere anche localizzati e che per lo più sono riconducibili a una responsabilità del singolo, ma corrisponde a una situazione generale dell’attuale società. […] Non insisto sull’aspetto medico sanitario, anche se rappresenta un problema importante, ma non possiamo dimenticare il secondo aspetto costituito dall’allungamento della vita che si è verificato per effetto delle conquiste dell’igiene e della medicina.
Una trasformazione che fu ben recepita anche dal Comitato di amministrazione dell’ECA, la cui politica assistenziale si orientò proprio verso la realizzazione di un adeguamento e ammodernamento delle proprie strutture e modalità di assistenza. Portavoce dell’istanza di rinnovamento fu senz’altro il consigliere Giancarlo Vicinelli, che espose le sue riflessioni nella relazione “Gli Istituti geriatrici”, presentata al Comitato di amministrazione ECA il 21 novembre 1962: “Si ritiene anzitutto necessario mettere in evidenza la impossibilità di adottare altre scelte per quanto riguarda la politica assistenziale da condurre nei nostri Istituti all’infuori di quella consistente nella loro trasformazione da semplici ricoveri in Infermerie vere e proprie. Tale processo, che implica una radicale modificazione di strutture e di attrezzature, deve essere attuato con la maggior intensificazione ed urgenza possibile. […] La scienza geriatrica e l’assistenza agli anziani hanno raggiunto una tale fase di evoluzione che comunità ibride come le nostre, oggetto di conduzione tradizionale debbono intendersi completamente superate e non all’altezza del prestigio del nostro Ente. […] Allo stato attuale infatti i nostri Istituti sono fatalmente destinati a diventare istituzioni anacronistiche, pesantemente passive e senza alcuna possibilità di sviluppo”.
Anche Vicinelli sottolineò il radicale cambiamento avvenuto nella “fisionomia” dell’utenza degli istituti ECA: se in passato erano stati gli inabili al lavoro ad essere in numero maggiore rispetto ai cronici, in quegli anni “il rapporto tra ospiti cronici e ospiti inabili” si era “quasi rovesciato”: “Di fronte a tale situazione ci troviamo con degli stabili non idonei, in quanto progettati per il ricovero di una popolazione prevalentemente composta da inabili […] e quel che è più grave con una dotazione di personale qualificato anch’essa inadeguata assolutamente alle esigenze di un’assistenza moderna”.
Altri due importanti elementi furono sottoposti da Vicinelli all’attenzione dei consiglieri ECA: “l’assoluta necessità [del Comune di Milano] di posti letto per cronici e l’obbligo sempre più pressante di assolvere alle norme stabilite dal Decreto di classificazione dei reparti per cronici degli istituti quali infermerie, l’emanazione cioè di un Regolamento interno funzionale ed organico”.
Pochi mesi dopo, nella seduta dell’11 marzo 1963, il Comitato di amministrazione, deliberò i lavori di adeguamento e ammodernamento degli istituti di Milano e Abbiategrasso e la costruzione di un nuovo “istituto per cronici”, costituito da due unità per la capienza di 700 posti letto e una spesa complessiva di circa due miliardi, premettendo alla decisione che “una delle maggiori esigenze di carattere sociale per la città di Milano, è quella di poter disporre di una sufficiente rete di istituti atti ad ospitare vecchi in istato di cronicità e di bisogno i quali, non disponendo di idonea assistenza domiciliare richiedano, dopo un’esistenza dedicata al lavoro, una decorosa sistemazione per gli ultimi anni della loro vita”.
(testo di Paola Bianchi)