Il podere Bettola di Rosate, denominato anche Cascina Santa Caterina, ubicato a sud rispetto al centro abitato dell’attuale comune di Rosate, perviene al luogo pio di Santa Caterina in San Nazaro – aggregato al luogo pio Divinità nel 1787 – attraverso due acquistati effettuati il 21 giugno 1607: 150 pertiche di terreno dai fratelli Francesco e Stefano Vitali (notaio Lodovico Montebretto), figli di Giovanni Paolo, entrambi residenti nella vicina Calvignasco e 420 dal capitano Pietro Francesco Avogadro, residente a Milano (notaio Leonardo Zucchinetti), con relativi diritti d’acque tra cui le rogge Mischia e Marazza. In precedenza, nel suo complesso la possessione era appartenuta a Giovanni Antonio Avogadro.
Successivamente il luogo pio incrementa i suoi beni in loco attraverso l’acquisizione del fabbricato denominato Castello di Rosate, circondato da peschiere e con orto annesso, dal conte Angelo Carpano (istrumento 5 febbraio 1671, notaio Carlo Maria Mantegazza), edificio divenuto celebre nel corso dell’Ottocento grazie al romanzo storico Marco Visconti di Tommaso Grossi (1834), le cui vicende sono ambientate proprio nel Castello di Rosate. L’edificio, le cui scarse parti originarie sembrano risalire al XIII secolo, è ubicato a nord est rispetto al centro abitato dell’attuale comune di Rosate e fa parte di una serie di fortilizi signorili eretti nella zona del corso del Ticino destinati a scopi difensivi ai tempi delle invasioni barbariche. Dopo essere appartenuto ai Visconti, nel 1493 il complesso passa in feudo ad Ambrogio Varese, consigliere di Gian Galeazzo Sforza; in seguito viene ceduto agli Stampa per tornare nel 1551 ai Varese.
Durante il diciannovesimo secolo l’Amministrazione dei Luoghi Pii Elemosinieri gestisce la proprietà mediante il tradizionale metodo dell’affittanza novennale. La Congregazione di Carità, succeduta all’Amministrazione in età postunitaria, acquista il Campo Sbarra, ammontante a 31,45 pertiche (istrumento 13 maggio 1896, notaio Rinaldo dell’Oro). Il terreno viene venduto dalla nobile Giuseppina Morosini (1824-1909), vedova dell’ingegnere Alessandro Negroni Prati (1809-1870), appartenente a una famiglia di origine svizzera colta e sensibile alle istanze risorgimentali: la contessa Giuseppina – intima frequentatrice di musicisti come Verdi e artisti come Hayez e Vela, che ritraggono lei e i suoi familiari – è fervida sostenitrice della liberazione del Lombardo Veneto dagli austriaci nelle guerre d’Indipendenza e della unificazione d’Italia.
Nel 1898 il capomastro Antonio Allievi acquista dalla Congregazione un’area del terreno intorno al Castello per poter costruire un fabbricato a destinazione rurale su un confinante terreno di sua proprietà.
Nel 1986 i beni in Rosate sono alienati: rispettivamente, il podere Bettola o Santa Caterina a un privato e l’immobile denominato Castello di Rosate con l’area circostante al Comune di Rosate, che destina l’immobile storico a “scopi culturali e socio-ricreativi”.
(testo di Sergio Rebora)