Sabato Levi Mondolfo nacque a Trieste il 9 luglio 1796 da Abram Levi Mondolfo e da Consola Bassano. La sua era una facoltosa famiglia di commercianti ebrei originari di Ragusa, giunti nel porto franco asburgico negli anni Ottanta del Settecento, attirati dall’Editto di tolleranza (1781-82) di Giuseppe II. Il padre di Sabato, Abram Levi Mondolfo era immigrato a Trieste assieme al fratello Raffaele e ben presto, grazie alla loro abilità di mercanti, entrambi si erano integrati con successo nella cosmopolita società locale. La posizione di prestigio di negozianti di Borsa raggiunta dalla Ditta di commercio all’ingrosso “Fratelli Levi Mondolfo”, aveva valso loro nel 1798 la naturalizzazione austriaca.
I due fratelli avevano poi contratto a Trieste degli ottimi matrimoni con i Bassano ed i Treves, entrambe famiglie ebraiche appartenenti all’élite economica locale.
Il giovane Sabato iniziò infatti la sua carriera negli affari occupandosi fin dall’adolescenza assieme ai fratelli minori, Giuseppe e David (1797-1864), della ditta di famiglia, prassi del resto diffusa fra il ceto mercantile dell’epoca. Nel 1825 morì il padre Abram e dopo tre anni Sabato Levi Mondolfo decise di tentare la fortuna mettendosi in proprio. Nasceva così nel marzo del 1828 la Casa di commercio all’ingrosso “Sabato Levi Mondolfo” con un capitale di 20.000 fiorini, il minimo richiesto per essere insinuati in Borsa. Nel 1835 Sabato accolse in ditta il fratello David, sposato con Elena Morschene, accordandogli la sua firma: fu il passo precedente alla formazione della società fra i due fratelli. Nel 1845, pochi anni prima del definitivo trasferimento a Milano di Sabato, David Levi Mondolfo entrò come socio aperto nella ditta del fratello, che mantenne lo stesso nome. Il capitale, suddiviso a metà fra i due fratelli, raggiungeva la ragguardevole cifra di 120.000 fiorini. Segnale evidente che nel periodo della Restaurazione le abilità commerciali di Sabato Levi Mondolfo avevano incrementato notevolmente i suoi capitali: egli risultava infatti possessore anche di un intero immobile sul Canal grande, nella zona più prestigiosa della città, e di una proprietà in campagna con annessi terreni, per un valore complessivo di 90.000 fiorini. Vi erano quindi tutte le premesse per una vita agiata, serena e rispettabile in seno ad una città e ad una comunità ebraica bene integrata nella società locale.
Probabilmente è in questo periodo che Sabato Levi Mondolfo maturò la decisione di trasferirsi definitivamente a Milano, ma le motivazioni rimangono sconosciute per assenza di fonti disponibili. Un’ipotesi tuttavia, con le dovute riserve, può essere avanzata. Si sa infatti per certo che negli anni triestini Sabato Levi Mondolfo non si sposò, nonostante le molte opportunità sicuramente giunte dalla cerchia dei correligionari, vista la sua posizione.
La scelta di Milano invece coincide con una radicale svolta della sua vita: nel capoluogo lombardo Mondolfo giunse infatti nel ’47 o ’48 già convertito al cattolicesimo e sposato con la cattolica Enrichetta Polastri, un matrimonio tardivo che non fu allietato dalla nascita di figli. Da questo momento Sabato diventò Sebastiano Mondolfo, abbandonando anche parte del suo cognome. Il resto della famiglia, invece, rimase legato alla fede dei padri.
Uomo consapevole del proprio valore in campo finanziario e dotato di relazioni ad alto livello nell’Impero asburgico e in Italia, Sebastiano Mondolfo si inserì rapidamente nell’alta società milanese, dove si prodigò in vari modi a migliorare il suo status. Nel 1857 Francesco Giuseppe I lo insignì del titolo di cavaliere della corona di ferro di III classe e del predicato nobiliare. L’onorificenza giunse come premio della sua opera di mediazione nel 1849 in favore della pace fra Austria e Piemonte, e per aver fatto da tramite a Torino in un’importante operazione finanziaria della Casa d’Asburgo. A favore di Mondolfo depose anche la sua ben nota filantropia, che nel 1855 si tradusse nell’acquisto di una casa per ospitare i ragazzi del Pio Istituto dei Ciechi di Milano. Dopo l’Unità il cavaliere Sebastiano Mondolfo fu insignito del titolo comitale.
Negli anni milanesi Sebastiano Mondolfo impegnò ingenti sostanze in attività filantropiche: la generosità dimostrata fin dal 1851 nei riguardi del prestigioso Pio Istituto dei Ciechi, cui già s’è fatto cenno, ne reca un chiaro esempio. Oltre all’acquisto della casa in Corso di Porta Nuova 7 per la nuova sede dello stabilimento, Mondolfo nel 1865 comperò l’attigua chiesa delle Nobili Vedove, in modo che la comunità potesse adempiere ai riti religiosi. Inoltre, nel 1872, un anno prima di morire, fondò l’Asilo Mondolfo per i ciechi, in modo da assicurare ai ragazzi più poveri e privi di sostegno familiare un prolungamento del soggiorno nell’istituto, una volta concluso il ciclo di studi. Nominato presidente a vita del Consiglio del Pio Istituto alla morte del suo fondatore Barozzi, Mondolfo coprì di tasca propria le spese per il sostentamento di dieci allievi privi di mezzi.
Il suo testamento redatto il 21 ottobre 1872, al quale aggiunse due codicilli il 10 marzo 1873, è una testimonianza della grande generosità che caratterizzò tutta la sua vita (Mondolfo morì il 5 maggio 1873). Accanto alle molte istituzioni di beneficenza ricordate nelle ultime volontà del conte, due furono i principali enti beneficiati: il Pio Istituto dei Ciechi con annesso Asilo Mondolfo, ai quali furono destinate lire 100.000, e la Congregazione di Carità di Milano beneficiata di lire 25.000 e di un legato di lire 400.000. Quest’ultimo doveva essere impiegato nella fondazione di un’opera pia in favore dei figli bisognosi, maschi e femmine, degli impiegati civili e militari domiciliati a Milano. Venne così istituita nel 1874 l’Opera pia Sebastiano Mondolfo, con l’impegno di erogare sussidi dotali per le ragazze e assegni di studio e di educazione per i ragazzi.
(da Il tesoro dei poveri, pp. 219-220, testo di Tullia Catalan)