Donato Ferrario nacque quasi certamente a Milano intorno al 1370. La sua famiglia era originaria del piccolo villaggio di Pantigliate, a est della città, e non sembra avesse particolari legami con il vasto clan parentale dei Ferrari, che erano invece un’antica casata della nobiltà cittadina di estrazione capitaneale.
Il trasferimento dei Ferrario da Pantigliate (in pieve di Segrate) a Milano doveva essere verosimilmente avvenuto non oltre la metà del Trecento ma nemmeno molto prima di quella data. Si può infatti ragionevolmente supporre che il padre di Donato, il mercante Antoniolo Ferrario (morto entro il 1397), fosse a sua volta di nascita milanese, mentre è quasi certamente da escludere che la famiglia avesse un più antico radicamento cittadino.
Donato era dunque l’esponente di una casata di mercanti di recente affermazione, già in grado di disporre di una fortuna non trascurabile sul piano economico, ma ancora priva di un effettivo riconoscimento in termini di status sociale.
Tutta la vita di Donato, come ha giustamente rilevato Marina Gazzini, massima studiosa di questo personaggio, sarebbe stata di conseguenza contrassegnata dal “disegno caparbiamente perseguito di affiancare il successo economico ad una riconosciuta affermazione sociale”.
Intorno al 1405, mentre già aveva avuto modo di distinguersi come un attivo operatore economico, con svariati interessi mercantili, finanziari ed imprenditoriali, Donato si sposò con la nobile milanese Antonia di Guiffredolo Menclozzi e più o meno nello stesso periodo lasciò la casa in cui doveva aver vissuto fino ad allora (in Porta Orientale, parrocchia di S. Babila intus), per trasferirsi in Porta Nuova, nella parrocchia di S. Damiano al Carrobbio (ma vicino anche alla parrocchia di S. Margherita). Qui egli visse per circa trent’anni, durante tutta la sua carriera di mercante.
Non ebbe figli; ma accolse in casa propria una nipote, Isabetta d’Annone, figlia di Margherita Menclozzi (sorella di sua moglie Antonia) e di un Antonino d’Annone, che a partire per lo meno dal 1413 fu anche socio di Donato in diversi affari, e in particolare nella gestione delle sue proprietà fondiarie nel territorio di Limito.
I successi economici di Donato Ferrario (che negli anni Venti del Quattrocento si impegnò con notevoli risultati soprattutto nell’esportazione di fustagni e di pannilana) gli fecero accumulare nel corso del tempo un patrimonio sempre più cospicuo (nel 1429 egli possedeva ormai una quindicina di case in Milano e diversi terreni a sud e a est della città). Ciò gli permise a sua volta di aprirsi la via per accedere anche ad alcune cariche pubbliche municipali, tanto nel tormentato decennio di Giovanni Maria Visconti (1402-1412), contrassegnato da una notevole ripresa delle istituzioni urbane di contro al potere ducale, quanto nel successivo periodo di Filippo Maria (1412-1447), connotato invece da una progressiva rimonta del potere centrale.
Già nel 1403, Donato aveva ad esempio fatto parte di un sindacato incaricato di verificare l’operato dei fabbricanti di monete e dei maestri della ferrarezza. Poi nel 1409 fu scelto quale membro del Consiglio cittadino (all’epoca ridotto a soli 72 membri), in rappresentanza del sestiere di Porta Nuova. Quindi, nel 1412 e di nuovo nel 1426, fu tra i Deputati della Fabbrica del Duomo. Infine nel 1422 e poi ancora nel 1433 fece parte della più importante magistratura civica milanese: i XII di Provvisione, che venivano nominati direttamente dal duca.
Il senso di una carriera che, sulla scorta delle fortune economiche, si stava progressivamente traducendo anche nel conseguimento degli agognati traguardi sociali, si coglie dunque con una certa nettezza e può del resto essere confermato anche da un dato empirico di immediata evidenza, quale quello degli appellativi con cui il Ferrario venne di volta in volta indicato nella documentazione. Se infatti ancora ai primi del Quattrocento egli veniva in realtà menzionato soltanto col nome (senza nessun’altra qualifica), nel corso degli anni Venti si assistette invece ad una rapida escalation del suo rango, attestato dal passaggio dalla condizione di “dominus” a quella di “nobilis vir dominus” (attestata per la prima volta nel 1427), per arrivare infine (nel 1429) addirittura al titolo altisonante di “spectabilis et generosus vir dominus”.
Intanto però, mentre si compiva questo innegabile percorso di mobilità sociale di tipo ascendente, nell’esistenza di questo agiato mercante stava evidentemente maturando anche una svolta radicale.
La notte di Ognissanti del 1425 Donato Ferrario ebbe infatti un’esperienza mistica, destinata a cambiargli completamente la vita. Quella notte, mentre dormiva, gli apparve in sogno una visione divina, che gli comandò di consacrarsi al soccorso dei poveri di Milano e di fondare a questo scopo un consorzio intitolato alla Divinità di tutti i Santi, da dotare con i propri beni.
Donato impiegò quattro anni a tradurre in pratica i comandi che riteneva di aver ricevuto da Dio. Ma il 1° novembre del 1429 fondò in effetti la Scuola della Divinità, un consorzio elemosiniero dalla spiccata connotazione laicale (era infatti espressamente sottratto alla giurisdizione arcivescovile, e non poteva comprendere più di un solo sacerdote), di cui egli curò personalmente la redazione degli statuti ed al quale donò la quasi totalità dei propri beni urbani. Nell’ingente patrimonio che Donato trasferì in questo modo al nuovo Luogo Pio di sua fondazione era tra l’altro compresa anche una casa in Porta Romana, nella parrocchia di S. Stefano, destinata a diventare la sede capitolare dell’ente e a rimanere tale per i successivi 356 anni, fino al 1785.
In quella casa Donato Ferrario trasferì anche la propria residenza personale (e quella della moglie), e da allora fino alla morte si occupò prevalentemente proprio della gestione del suo consorzio e della sua buona amministrazione. Dodici anni dopo, il 13 novembre del 1441, Donato Ferrario, oramai vecchio e malato (“aliqualiter eger corpore”), fece testamento. Lasciò un legato alla nipote Isabetta ed istituì a vantaggio della moglie Antonia una rendita di 36 fiorini l’anno, lasciandole anche il diritto ad abitare presso la sede capitolare del Luogo Pio, fino alla fine dei suoi giorni. Per il resto indicò la Scuola della Divinità come propria erede universale.
La morte di Donato Ferrario ebbe luogo tra il 1441 ed il 1444, ma quasi certamente avvenne proprio nei giorni immediatamente successivi al testamento e dunque nel novembre del 1441.
Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di Santa Maria della Scala (nel vecchio sestiere di Porta Nuova), ove del resto, sin dal 1429 Donato aveva fissato che il capitolo della Divinità dovesse far celebrare annualmente una messa solenne, seguita da un’altrettanto solenne processione presso alcune chiese e parrocchie del circondario.
Sulla sua tomba, nel 1530 il Consorzio della Divinità avrebbe fatto sistemare una lapide (poi rimaneggiata nel 1614), nella quale il fondatore veniva significativamente ricordato come “Patritio Mediolanensi”. Per un uomo come il Ferrario, che era sempre vissuto alla ricerca di un prestigio sociale di cui si sentiva evidentemente privo, si trattava a tutti gli effetti ad una sorta di consacrazione postuma.
(da Il tesoro dei poveri, p. 128, testo di Francesco Somaini)