Esplora l’archivio e la quadreria del Consorzio della Misericordia
Il Consorzio della Misericordia venne fondato intorno al 1368 per iniziativa di un gruppo di mercanti milanesi, alcuni dei quali risultavano già iscritti alla scuola delle Quattro Marie. I suoi promotori ambivano a dar vita a un organismo innovativo, capace di svincolarsi dal modello confraternale che tendeva a circoscrivere l’attività di assistenza ai propri iscritti per offrire aiuto a chiunque, in tutta la città, si trovasse in condizioni di reale bisogno.
La precipua finalità elemosiniera del sodalizio si esplicava mediante un’opera capillare, che gradualmente si ampliò fino a rispondere alle più diverse manifestazioni di disagio sociale. Oltre alle tradizionali distribuzioni di sussidi in natura (pane, riso, ceci, carne, vino e sale, panni di lino e coperte di lana) – per ritirare le quali i deputati consegnavano agli assistiti appositi “segni” metallici o biglietti cartacei -, e all’erogazione di doti a povere fanciulle che intendessero sposarsi o entrare in convento, nel corso dei secoli il consorzio si occupò infatti di sostenere giovani indigenti negli studi, pagare i costi di assistenza ad infermi, effettuare depositi per la liberazione di debitori insolventi reclusi alla Malastalla (o in altri istituti di pena), assumere l’onere delle esequie di defunti i cui familiari fossero sprovvisti di mezzi. Il suo raggio d’azione arrivava a comprendere altre istituzioni caritative o religiose, in particolare chiese, conventi e monasteri, cui erano assegnate sia sovvenzioni in natura che offerte in denaro.
L’efficacia della sua missione venne presto compresa dalle autorità civili che non mancarono di accordarle privilegi ed esenzioni fiscali e di inserirla nel novero dei principali luoghi pii cui, il 2 gennaio 1486, il duca di Milano riconosceva la speciale prerogativa di agire in qualità di giudici ordinari verso i propri debitori.
Frequenti invece i disaccordi con le autorità ecclesiastiche, che si manifestarono con particolare virulenza negli anni in cui la diocesi milanese era guidata da Carlo Borromeo e poi durante l’episcopato di Federico Visconti, che intendevano estendere il controllo sui consorzi elemosinieri.
La struttura organizzativa si reggeva su un capitolo di dodici deputati (due per ogni porta cittadina), al quale si accedeva per cooptazione. Il consorzio era guidato da un rettore, coadiuvato da un vice-rettore, il cui mandato, limitato inizialmente a un anno, divenne dal 1452 biennale. Fino al 1664 all’interno del capitolo erano ammessi anche religiosi, cui però era preclusa la nomina a rettore. Dopo la seduta capitolare del 6 febbraio di quell’anno si stabilì addirittura che nel caso in cui un deputato avesse deciso di abbandonare lo stato laicale, avrebbe dovuto nel contempo lasciare l’associazione.
La gestione amministrativa era articolata in “province”, la direzione di ognuna delle quali era demandata a un deputato: case in Milano, tesoreria, ragioneria, collegio Griffi di Pavia, fondi extra-urbani (ripartiti in base alle sei porte cittadine da cui occorreva passare per raggiungerli; le province di porta Romana e di porta Nuova erano ognuna divisa in due).
Erano previsti anche ufficiali stipendiati: il maestro di casa – che si occupava dei rapporti con i forni che producevano i pani per l’elemosina – , uno o due ragionati addetti alla contabilità, il vice-tesoriere – che insieme al deputato tesoriere effettuava il pagamento delle doti e delle elemosine in denaro -, un cancelliere e un vice-cancelliere per gli atti notarili, due o tre fattori (poi agenti) incaricati della conduzione delle proprietà rurali, un dispensiere delle elemosine e un numero variabile di famigli incaricati di mansioni di basso servizio.
Il capitolo si riuniva settimanalmente nella sede del consorzio, fissata dapprima in una casa in San Tommaso in Cruce Sichariorum poi, dal 1377, in un edificio donato da Arnoldo Albizzati, ubicato in contrada Solata (attuale via Broletto). Grazie a un legato disposto da Ramengo Casati nel 1437, fu possibile dotare la sede anche di un proprio oratorio, che, dopo la metà del Cinquecento, fu abbellito sulla facciata da un affresco di Aurelio Luini che enunciava l’attività dell’ente.
Oltre alla casa capitolare e all’oratorio, il consorzio possedeva un cospicuo patrimonio immobiliare costituito da case e botteghe in città e da edifici rurali e fondi agricoli nel contado, per un’estensione che nella prima metà del XVIII secolo si attestava oltre le 30.000 pertiche. La dotazione del consorzio comprendeva, oltre i proventi derivanti dalla riscossione di canoni d’affitto e livellari sui beni stabili, l’investimento di capitali su banchi e la concessione di prestiti a privati.
Il prestigio del consorzio è attestato dal coinvolgimento dei suoi deputati – accanto a quelli delle Quattro Marie e della Carità – nella elezione dei deputati del capitolo dell’Ospedale Maggiore, come pure nella nomina di quelli del Monte di Pietà; senza dimenticare che i suoi deputati controllavano il Collegio Griffi di Pavia e due di essi erano di diritto inseriti fra i membri del capitolo delle Scuole Taverna.
Il consorzio riuscì a mantenere inalterato il suo primato fino all’epoca delle riforme giuseppine, tanto che, per le sue già ragguardevoli dimensioni, fu l’unico fra i luoghi pii sopravvissuti alle soppressioni a non aggregare enti minori.
(da Guida dell’Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri di Milano)
Bibliografia:
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