Il barone Giuseppe Bagatti Valsecchi di Belvignate, secondogenito di Pietro (Milano, 13 aprile 1802 – 27 novembre 1864) e di Carolina Angiolini (14 luglio 1818 – 6 marzo 1880) nasce a Milano il 18 agosto 1845; sebbene laureato in giurisprudenza trae dal padre, appassionato d’arte, miniaturista e pittore, l’interesse per il disegno e per l’architettura, specie quella rinascimentale.
Insieme al fratello maggiore Fausto (Milano, 13 settembre 1843 – 16 febbraio 1914) cura la ristrutturazione del palazzo di famiglia posto tra via Santo Spirito e via Gesù ispirandosi alle abitazioni signorili del Rinascimento lombardo e dotandolo di luce elettrica, riscaldamento ed acqua corrente. Attualmente l’edificio è sede del Museo Bagatti Valsecchi, fondazione aperta al pubblico nel novembre del 1994, che custodisce le ricche collezioni di arredi, suppellettili, manufatti diversi, armi, dipinti e strumenti scientifici raccolte nel corso dell’Ottocento dai proprietari.
Ampiamente provvisti di beni di fortuna e di solida preparazione culturale, i due fratelli operano insieme come architetti progettando ville ed edifici civili per una committenza costituita in prevalenza dalle più importanti famiglie aristocratiche e alto borghesi lombarde, restaurando inoltre alcuni edifici di culto tra cui la chiesa parrocchiale di Senago e la chiesa milanese sconsacrata di Santa Maria della Pace; singolarmente, Fausto si occupa del rifacimento del ponte dei Carmini al Castello Sforzesco, di altri stabili di proprietà e della realizzazione di alcune edicole funerarie, Giuseppe si impegna nella ristrutturazione della cappella Borromeo ad Oreno, appartenente alla famiglia della moglie.
Membri dell’Accademia di Belle Arti di Milano, della Commissione Conservatrice dei Monumenti e degli Oggetti di Antichità ed Arte e della Società Storica Lombarda, oltre all’interesse per l’arte, attratti dal progresso e dalle novità tecniche dell’epoca, i fratelli Bagatti Valsecchi manifestano anche la loro passione per l’equitazione, l’alpinismo e il velocipede: i loro nomi si annoverano tra i partecipanti a diverse manifestazioni sportive e tra i fondatori nel 1870 del “Veloce Club”.
Di carattere più riservato e meno mondano rispetto al fratello, Giuseppe si dedica inoltre alla filantropia ricoprendo cariche nel settore dell’assistenzialismo pubblico e privato; dagli anni Ottanta dell’Ottocento fino alla morte è vice presidente del comitato di beneficenza del II comparto della Congregazione di Carità, membro del Comitato Derelitti, dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata e della Commissione Visitatrice dell’Ospedale Maggiore, di cui diventerà presidente e benefattore.
Nel 1891 è eletto nel consiglio d’amministrazione della Congregazione di Carità, vi rimarrà fino al 1899 con delega a sostituire il Presidente in caso di assenza; nuovamente scelto nel 1905 resterà in carica per cinque anni fino alle dimissioni per scadenza di mandato.
Durante la sua attività di consigliere si interessa all’assistenza, in particolare ai minori, è nominato nella Commissione di beneficenza; per le sue competenze è interpellato a esprimere il proprio parere in merito alla vendita di manufatti artistici oppure a restauri di opere d’arte dell’Ente, come un’effige della Madonna a Faino o il quadro di San Martino a Magnago; nel 1909 segue le operazioni di identificazione e denuncia degli oggetti d’arte al Ministero della Pubblica Istruzione.
In più circostanze elargisce donazioni alla Congregazione di Carità: nel 1893 assegna 2.400 lire da destinare preferibilmente a famiglie con bambini numerosi o ammalati; nel 1898, incaricato dal Consiglio di provvedere tramite l’Ufficio tecnico interno alla decorazione della volta dello scalone d’accesso dell’edificio di via Olmetto 6, si assume l’onere dell’intera spesa richiesta per la raffigurazione degli emblemi delle cinque opere pie principali. Nel 1910, sollecitato dal Consiglio, progetta il nuovo cancello in ferro battuto in stile rinascimentale da porre nell’androne d’ingresso del palazzo di via Olmetto, finanziando personalmente la ditta Sommaruga Graziano di Milano che realizzerà l’opera.
Nel febbraio 1914 in memoria del fratello Fausto, di recente scomparso, offre alla Congregazione di Carità 6.000 lire da suddividere equamente tra i comparti interni ed esterni; nel 1929 elargisce 10.000 lire a favore dei poveri di Milano da devolvere in sussidi di carattere integrativo non inferiori a 200 lire per nuclei famigliari bisognosi e già periodicamente assistiti dall’Ente nell’educazione della prole. Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola nella Croce Rossa a cui dona un automezzo provvisto di apparecchiatura radiologica all’ospedale mobile denominato “Città di Milano” cui è assegnato; pochi mesi dopo, tornato in città per motivi di salute, entra nel Corpo delle vedette aeree civili.
Dal matrimonio celebrato nel 1882 con la contessa Carolina Borromeo (Milano, 7 aprile 1864 – 12 giugno 1925), nata dalle nozze tra Carlo Borromeo e Costanza d’Adda, avrà cinque figli: Costanza (1884-1957), sposa di Mario Nani Mocenigo (1875-1943), Pier Fausto (1886-1914), Carlo Maria (1891-1893), Maria (1895-1994) e Pasino (1901-1976), coniugati rispettivamente con Giovanni Battista De Ferrari (1888-1967) e Carolina Venini (1902-1993); insignito di numerosi riconoscimenti nei vari campi della sua attività artistica, benefica, civile e patriottica, il nobile ottiene la nomina a cavaliere, a commendatore della Corona d’Italia e la medaglia d’oro dei benemeriti dell’istruzione pubblica.
Giuseppe Bagatti Valsecchi, deceduto a seguito delle complicanze di una polmonite nella sua casa milanese il 20 aprile 1934, è ricordato nei necrologi del tempo come “figura notissima di gentiluomo e di benefattore tipicamente ambrosiano […], dedito “con silenziosa ed instancabile attività alle opere di beneficenza”; nello stesso anno il figlio Pasino “per onorare la memoria” del padre “ed in ossequio alle sue benefiche intenzioni” devolve alla Congregazione di Carità 5.000 lire. Gli eredi, adempiendo un desiderio del genitore, dispongono anche un lascito di 150.000 lire a favore dell’Ospedale Maggiore di Milano per la creazione di una fondazione che si occupi dei ricoverati poveri e delle loro famiglie.
(testo di Lorenza Barbero)