Sulla figura di Bernardino Busti – da non confondere con l’omonimo frate minore, che fu allievo di Michele Carcano e grande promotore dei Monti di Pietà nella Lombardia dell’ultimo Quattrocento – sappiamo in vero relativamente poco. Non ne conosciamo, ad esempio, la data di nascita, anche se possiamo ipotizzare che questa si dovette verosimilmente situare intorno alla metà degli anni Sessanta del Quattrocento.
Suo padre era l’insigne giureconsulto Lorenzo Busti, e anche Bernardino fu a sua volta dottore in utroque iure nonché giureconsulto collegiato a partire dal 1489. Egli aveva certamente anche un fratello – di nome Giovanni – le cui tracce si perdono tuttavia già con gli anni Settanta del XV secolo. Bernardino invece verso la fine del Quattrocento dovette sposarsi con Lucrezia Candiani, che gli dette anche un figlio, di nome Giovanni Lorenzo, che venne poi mancare intorno al 1528.
Una bolla di papa Alessandro VI del marzo del 1499 ci informa che a quella data il Busti aveva negoziato con l’abate di San Celso di Milano, Leonardo Visconti, la locazione perpetua di alcuni beni in Novate di proprietà dell’abbazia. La notizia ci parla dunque di una presenza patrimoniale a Novate Milanese, ove alla fine degli anni Venti del Cinquecento si concentrava effettivamente la maggior parte della fortuna immobiliare di Bernardino. A Novate infatti il Busti aveva una proprietà di dimensioni davvero cospicue, pari a non meno di 2400 pertiche; sappiamo che qui egli fondò anche un oratorio intitolato ai Santi Nazaro e Celso.
Sotto il profilo politico, Bernardino Busti, negli anni difficili delle guerre d’Italia, fu certamente un acceso fautore sforzesco. Ce lo confermano privilegi come quello accordatogli da Massimiliano Sforza nel gennaio del 1515, in ordine all’estrazione di acque del naviglio di Milano. L’apice della sua carriera fu tuttavia raggiunto sotto il duca Francesco II Sforza (1521-1535), che entro l’ottobre del 1522 innalzò il Busti fino alla dignità di senatore ducale.
In quegli anni Bernardino godette sicuramente di una posizione di notevole autorità. Le sue opinioni erano infatti tenute in grande considerazione e il duca non mancava di offrirgli anche degli incarichi particolarmente lucrativi, come ad esempio avvenne nel 1522 quando gli affidò il compito di curare, assieme al cancelliere Girolamo Morone (anch’egli senatore), la vendita dei beni che erano appartenuti al ricco mercante Bernardino Meda e che erano stati confiscati dalla Camera Ducale dopo che il Meda era stato assassinato da dei suoi nipoti. Per il Busti si trattò di un vero e proprio affare, poiché egli in realtà liquidò una parte considerevole di quei beni (in particolare un sedime al Cordusio e dei terreni nelle pievi di Bollate e di Incino) vendendoli direttamente a se stesso.
Proprio il rapporto assai stretto che il Busti aveva intrattenuto con il regime di Francesco II dovette tuttavia provocargli dei seri imbarazzi quando lo Sforza, nel 1526, entrò in urto con l’imperatore Carlo V. Nel maggio del 1527, non a caso, mentre Milano era occupata dalle truppe ispano-imperiali e mentre Francesco II, ormai alleato ufficialmente dei franco-pontifici, era riparato a Cremona, Bernardino Busti, che forse aveva seguito il duca nei suoi movimenti, venne raggiunto da una sentenza di condanna, che lo metteva formalmente al bando.
Egli dovette dunque tenersi forzatamente lontano da Milano e dalla casa di famiglia di Porta Comasina (parrocchia di San Cipriano); questo mentre nel frattempo tutta la Lombardia, più che mai al centro del grande conflitto franco-imperiale, era attraversata anche da una devastante epidemia di peste.
Nell’estate del 1528 tra le vittime del contagio vi fu in particolare Giovanni Lorenzo Busti, il quale il 1° agosto di quell’anno fece testamento, indicando il padre – cioè Bernardino – quale proprio erede universale. Questi però non era ancora rientrato nella grazia di Carlo V e non lo era nemmeno un anno più tardi, allorquando, colpito a sua volta dalla peste, fece anch’egli testamento, lasciando tutti i suoi beni al Consorzio della Misericordia. Importante notare la data topica di quest’ultimo documento: il Busti si trovava infatti a Lodi, nella casa di Giovanni Bassiano Carminati di Brambilla, e questo mentre Lodi era occupata dai franco-sforzeschi, e mentre Milano, assediata, era ancora in mano agli eserciti ispano-imperiali.
La morte di Bernardino Busti dovette seguire di lì a breve, senza che egli avesse ancora potuto regolarizzare la propria posizione.
Il Consorzio della Misericordia, non a caso, ebbe poi delle difficoltà nell’entrare in possesso di beni che erano appartenuti ad un bandito e solo il 2 giugno del 1530 – quando Francesco II Sforza si era nel frattempo riconciliato con l’imperatore – il Senato si pronunciò sulla validità del testamento del Busti e permise perciò al luogo pio di rivendicare quanto gli era stato lasciato.
(da Il tesoro dei poveri, p. 90-91, testo di Francesco Somaini)